Le condizioni di vita della donna nella terza e quarta età: aspetti bioetici nella assistenza socio sanitaria

16 luglio 2010

Abstract

Testo integrale

Il CNB segnala nelle donne di oltre 65 anni di età, una fascia di popolazione ad alto rischio di superare quella soglia di deprivazione, sia nel profilo psicologico che materiale e relazionale, sotto la quale risulta alla persona impossibile esercitare qualsivoglia scelta per mancanza di fruizione delle più basilari risorse necessarie alla conduzione di una vita che non sia di mera sopravvivenza. Il documento si inserisce nel filone della cosiddetta “bioetica del quotidiano”, complementare alla “bioetica di frontiera”(concentrata sulla nascita e la morte e sui casi estremi di manipolazione della vita umana).
Su questo binario etico, che abbraccia il vivere e lo sperare di “tutto l’uomo e di tutti gli uomini”, prende rilievo il tema della giustizia distributiva concernente la differenza sessuale, la stagione di vita, la diversità biologica fra persona e persona e l’etica pubblica che comporta equità di accesso alle risorse sanitarie (di per sé non illimitate). Facendo proprio il principio della “salute possibile”, viene documentato come non sia possibile decidere la questione distributiva assegnando a tutti la stessa quota di risorse. Nelle questioni relative alla salute si deve infatti adottare un criterio moralmente giustificato di priorità, offrendo a tutti uguali opportunità di raggiungere il massimo potenziale di salute consentito a ciascuno nella propria fascia di età, favorendo gli individui più svantaggiati.
Riportando dati di ordine sociale, medico, psicologico, viene sottolineato come le donne oltre i sessantacinque anni, con il passare del tempo, si trovano in situazioni che possono diminuire o bloccare la capacità di autonomia, di progettualità, di scelta consapevole, essendo particolarmente vulnerabili dal punto di vista biopsicologico e sociale. Il rischio, in una visione, ancor oggi presente nella società dominata dal mercato e spinta ai consumi, è quello di supervalutare l’homo oeconomicus, fondato sulle spinte al guadagno, finendo con il mettere in secondo piano i fattori esistenziali che consentono di “essere felici”, di valutare cioè positivamente la propria qualità di vita. Questo viene a pesare specialmente nella quarta età e specialmente sul genere femminile anche se l’elemento economico e materiale ha ovviamente un suo peso rilevante: la diminuzione del reddito si riflette immediatamente in un peggioramento della qualità di vita, specie se si debbono sostenere spese crescenti per l’instaurarsi di patologie croniche. L’equità di accesso alle risorse sanitarie è quindi essenziale alla qualità di vita della donna anziana, spesso sola (circa tre milioni sono le donne spesate in questa fascia di età ed altrettante sono le vedove) e deprivata di ruoli e funzioni sociali. Appare quindi evidente che la felicità personale (resa oggi valutabile da precisi indagini socio-psicologiche) non può essere legata alla sola crescita della ricchezza economica e materiale, misurata dal PIL o dal possesso di merci e potenzialità di consumi, ma deve tener conto di come ciascuno vive la sua realtà biopsichica.
Per quanto riguarda la terza e quarta età, grande valore deve essere quindi dato a beni fondamentali per quella che viene chiamata “fioritura della vita”, quali il godere di relazioni significative e lo sviluppo del pensiero positivo (autostima ed ottimismo), sempre in vista di un “essere felici”, obiettivo fondamentale non solo degli investimenti di politica economica, ma di una medicina non più dominata solo dal “porre toppe” alle lacerazioni patologiche.
Il Parere, sempre nella prospettiva di un impegno nel quotidiano, richiama ad un intervento prioritario nel settore socio-sanitario per questa fascia di popolazione, ritenendo questo uno dei massimi doveri etici in questo momento storico.

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