20 agosto 2008
L’analisi dell’argomento “test genetici e assicurazioni” comporta l’approfondimento dei rapporti fra l’acquisizione, conservazione, comunicazione, conoscenza del «vissuto» psicologico e i “dati sensibili” – come paradigmaticamente sono considerati i dati genetici personali – nonché attività economiche ben caratterizzate, come quelle affrontate dal sistema assicurativo.
Il Comitato Direttivo di Bioetica del Consiglio d’Europa (CDBI) si prefigge di preparare una bozza di “Raccomandazione” per il Comitato dei ministri che consenta di superare il regime di
tacita “moratoria” che governa attualmente il rapporto fra utilizzazione di test genetici e attività assicurative. In conseguenza, il problema dell’utilizzo dei test genetici da parte di assicurazioni private è all’ordine del giorno dei Comitati di bioetica dei Paesi membri dell’Unione europea.
Alcuni mesi fa la Commissione nazionale di bioetica della Grecia ha espresso un parere in materia in cui si propone di adottare una moratoria formale sull’uso dei test genetici da parte delle assicurazioni private in attesa che venga adottata una specifica disciplina europea volta a contemperare esigenze diverse: l‘elevato valore sociale della salute e la conseguente importanza dei test genetici ai fini:
a) di una diagnosi, ove possibile della cura, e comunque di orientamento per la prevenzione, svolti con modalità personalizzate;
b) i diritti degli assicurati a fronte dei possibili rischi di discriminazione;
c) i diritti e gli interessi delle assicurazioni private fondati sulla definizione di specifiche categorie di rischio e sul superamento della c.d. asimmetria informativa.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica ed il Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita non ritengono possibile dall’esperienza sin qui raccolta trarre delle fondate conclusioni in merito ad un eventuale utilizzo di dati genetici a fini assicurativi.
L’utente (candidato alla assicurazione) non sembra disponibile ad accettare un “vincolo” di presentazione di certificati genetici per ottenere un contratto assicurativo nel settore vita e/o
malattia, ma non sarebbe forse alieno a presentare – per propria libera decisione - certificati genetici di “normalità”1
verso determinate patologie, se da ciò derivasse un vantaggio manifesto in termini economici (riduzione del premio).
Gli assicuratori investono in risorse e capitale per tradurre in termini probabilistici utili ai calcoli attuariali le informazioni che derivano dalla ricerca medica ed aggiornano continuamente
le loro basi di calcolo in modo da poter utilizzare dati sempre più obiettivi, rilevanti ed affidabili per determinare il costo della copertura. A tale scopo, però, essi considerano i dati genetici alla stregua dei comuni dati medici e anche tenuto conto dei futuri sviluppi della medicina e di un prevedibile aumento dell’impiego di test genetici nella clinica medica nei prossimi anni, oggi premono per un utilizzo degli stessi nei loro calcoli attuariali allo scopo di raccogliere esperienze sull’apporto “positivo” che tali dati potrebbero fornire per una migliore definizione del rischio.
Ovviamente non sono alieni ad adottare accorgimenti di tutela delle informazioni, come previste per le “banche dati”.
In particolare le Compagnie di assicurazione si propongono di sviluppare ricerche specifiche per accertare la rilevanza attuariale dei test e rivedere i criteri e le basi statistiche per la
classificazione del rischio, con la cooperazione di genetisti ed altri esperti per interpretare le complesse statistiche che derivano dagli studi scientifici. Esse affermano che i risultati dei test genetici verranno presi in considerazione solo se sarà stabilita la loro rilevanza tecnica, clinica ed attuariale.
Ritengono inoltre di particolare importanza evidenziare i potenziali rischi che possono derivare agli assicuratori dagli ancora notevoli problemi di definizione in materia genetica, in
una situazione di restrizioni legislative come l’attuale. Gli stessi esperti non sono sempre concordi nello stabilire da cosa effettivamente sia costituita l’informazione genetica e quali siano i test genetici dotati di effettivo valore predittivo.
Peraltro, in questa situazione di incertezza, anche gli assicurati potrebbero ritenere di non dover segnalare risultati patologici di test comunemente utilizzati nella pratica medica perché
alcuni di essi hanno una componente genetica. Pertanto le Compagnie di assicurazione auspicano una revisione della normativa in senso favorevole all’utilizzo dei test genetici e al contempo l‘utilizzo di una terminologia semplice chiara e condivisa in questa delicata materia.
Di fronte a questo composito scenario il Gruppo di lavoro fa propria una considerazione finale: alle spalle del problema delineato dal “caso particolare” della utilizzazione di test genetici ai fini assicurativi stanno concezioni più ampie del rapporto fra mercato e “privacy” (come innanzi delineata).
Mentre il sistema mercato – promosso dalla attuale congiunta anche in sede europea – spingerebbe ad includere la conoscenza della situazione genetica dei singoli nell’ambito della modulazione dei premi, allo scopo di realizzare mercati più rispondenti alle reali situazioni di rischio, le problematiche di giustizia di cui deve farsi carico un sistema giuridico e che non riguardano necessariamente il mercato, come ad es. la tutela della persona, la sua autonomia, i suoi diritti ed anche il suo stato di diversa vulnerabilità nei confronti della malattia, spingerebbero – oggi - all’esclusione della introduzione della conoscenza dello stato genetico nell’ambito della contrattazione assicurativa.
Ciò non è dovuto solamente al timore della diffusione incontrollata di informazioni personali “sensibili” ma anche all’apporto limitato di sicurezza predittiva (allo stato attuale) della genetica ed al prevalente atteggiamento solidaristico del diritto sanitario europeo: ne deriva, oggi, un atteggiamento razionale che non richiede necessariamente la fornitura di dati genetici. Ciò non esclude – peraltro – una riflessione ulteriore fondata sulla solida base di una ricerca scientifica -
e sul campo - dei vantaggi in senso attuariale che – per l’intera comunità – potrebbe rivestire in futuro l’introduzione anche di alcuni dati genetici nel corretto processo informativo “bilaterale”, eticamente dovuto tra le controparti.